Zipper e suo padre

Adelphi Edizioni spa
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Il narratore di questo romanzo, che Roth presenta come una «cronaca», conosceva bene il vecchio Zipper e suo figlio: aveva condiviso la loro vita in tempo di pace, in tempo di guerra (la prima guerra mondiale), e negli anni dopo la guerra. All’inizio, il giovane Zipper è solo un compagno di classe lentigginoso, che nomina sempre suo padre, come fonte di ogni autorità; e il vecchio Zipper è un uomo piegato dalla fatica dell’enorme passo che ha compiuto: nato proletario, è diventato piccolo-borghese, e ora difende con le unghie la sua conquista, aggirandosi nella sua vita come fra i sedicesimi scompagnati di una enciclopedia popolare. Il vecchio Zipper voleva disperatamente sapere, perché pensava che il sapere portasse al successo nella vita: ma la sua vita è rimasta misera, e allora tutti i suoi sogni si depositano sul figlio Arnold. E, come sempre, il figlio non corrisponde ai sogni paterni: rispetto al vecchio, ha «un temperamento più malinconico, un cervello più fino e una pelle meno dura». La somiglianza fra padre e figlio è molto più profonda e misteriosa – e a scandagliarla è dedicato questo amaro romanzo. È una somiglianza in qualcosa che li sovrasta, e che si può chiamare destino, ricordando che «nella vita degli Zipper il destino non aveva mai una forza primordiale e prorompente. Aveva il lento, tedioso modo di operare del tarlo». Joseph Roth, che tante volte avrebbe narrato storie dove il destino e la favola si sovrappongono, per una volta ha voluto illuminare l’altra faccia del destino, quella in cui si mostra un ingranaggio oscuro, impersonale, freddo. E lo ha fatto isolando una storia esemplare degli anni di Weimar, gli anni del cinema proliferante, degli sradicati, degli arraffatori, anni dove due generazioni in apparenza lontanissime vennero a confluire nella disperazione e nel fallimento, sulla base della comune esperienza della guerra: «Tutti i vecchi Zipper erano sotto le armi, e i giovani pure. Milioni di Zipper sparavano e morivano, e centinaia di migliaia impazzivano». Questa è una storia di illusioni: quella del vecchio Zipper, che suonando il violino pensa di essere un musicista e approfitta delle pause per «lanciare attorno uno sguardo compiaciuto, come un artista che colga un lontano applauso percepibile a lui solo»; quella del giovane Zipper, che vagheggia l’America, si innamora di una giovane attrice – tipica creatura dei tempi nuovi – e si lascia beffare da lei. Senza saperlo, padre e figlio sono colpiti dalla stessa condanna. E a condannarli è semplicemente il tempo che passa, l’irrompere di un’epoca che li schiaccia. Così il violino amato da Zipper padre torna nelle mani di Zipper figlio: ma ora dovrà suonarlo per fare da spalla a un celebre clown. Alla fine, seduti a un tavolo nella penombra, Zipper e suo figlio sembrano due fratelli: «Entrambi stavano seduti nella sera come in una barca, e veleggiavano lentamente, folli e beati, incontro al medesimo destino». Pubblicato nel 1928, "Zipper e suo padre" viene qui proposto per la prima volta in traduzione italiana.

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