La guerra democratica

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«Dopo il collasso del contraltare sovietico le Democrazie, Stati Uniti in testa, hanno inanellato, in vent'anni, otto guerre di aggressione. La guerra democratica non si dichiara, ma si fa, con cattiva coscienza, chiamandola con altri nomi. Col grimaldello dei diritti umani si è scardinato il diritto internazionale sul presupposto che l'Occidente, in quanto cultura superiore (moderna declinazione del razzismo), portatore di valori universali, i suoi, ha il dovere morale di intervenire ovunque ritenga siano violati. Il nemico, allora, non è più, schmittianamente, uno justus hostis, ma solo e sempre un criminale. Essenzialmente tecnologica, sistemica, digitale, condotta con macchine e robot, la guerra democratica evita accuratamente il combattimento, che della guerra è l'essenza, perdendo così, oltre a ogni epica, ogni dignità, ogni legittimità, ogni etica e persino ogni estetica.» Massimo Fini

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Giới thiệu tác giả

Massimo Fini è nato a Cremeno (Lecco) da padre pisano e madre russa di Saratov, sul Volga. I suoi genitori si erano conosciuti a Parigi sul finire degli anni Venti. Lui fuggiva dal fascismo, lei dal bolscevismo. Studi classici, laurea in Giurisprudenza a pieni voti e lode con Gian Domenico Pisapia, fa vari mestieri (impiegato di seconda alla Pirelli, copywriter, pubblicitario in proprio, giocatore di poker) prima di approdare, nel 1970, al giornalismo, all’«Avanti!» di Milano, dove segue i più importanti fatti di cronaca nera e politica di quegli anni: l’omicidio del commissario Calabresi e il caso Feltrinelli. Alla fine del 1971 passa, come inviato, all’«Europeo» di Tommaso Giglio e vi rimane fino al 1979, quando il prestigioso settimanale viene appaltato ai socialisti e la Rizzoli era in mano a Bruno Tassan Din che due anni dopo risulterà essere la longa manus della P2 all’interno dell’azienda. Finito volontariamente a spasso, per un paio di anni vive di collaborazioni saltuarie, e al «Lavoro» di Genova, diretto da Ugo Intini, fa le sue prime prove come editorialista e polemista con la rubrica Contropiede. In quegli stessi anni è animatore, con Aldo Canale, del mensile di politica e cultura «Pagina», dove si sono formati o hanno transitato alcuni dei più importanti giornalisti e intellettuali italiani di oggi, da Paolo Mieli a Ernesto Galli della Loggia, da Giampiero Mughini a Giuliano Ferrara a Pierluigi Battista. Nel frattempo viene assunto, come editorialista e inviato, dal «Giorno» di Guglielmo Zucconi e Pierluigi Magnaschi. A metà degli anni Ottanta rientra all’«Europeo», dove tiene per undici anni la principale rubrica del settimanale (Il Conformista). Nel 1992 lascia «Il Giorno» per partecipare all’avventura dell’«Indipendente» di Vittorio Feltri. Quando Feltri lascia per andare a dirigere «il Giornale», si rifiuta di seguirlo al quotidiano berlusconiano. «L’Indipendente» avrà ancora una buona stagione sotto la direzione di Daniele Vimercati. Terminata definitivamente l’avventura dell’«Indipendente», chiuso «L’Europeo», Zucconi lo riprende al «Giorno», poi diventato «Quotidiano Nazionale» («Il Giorno», «La Nazione», «Il Resto del Carlino»), dove resta fino al 2009, quando Antonio Padellaro lo chiama a collaborare a «il Fatto Quotidiano», dove tiene la rubrica Battibecco. Da anni collabora a «Il Gazzettino» di Venezia. Ha fondato e diretto il mensile «La Voce del Ribelle», totalmente autogestito, per tre anni in versione cartacea e ora su web. Dal 1985 scrive libri (La Ragione aveva Torto?) il cui filone principale, salvo qualche divagazione in campo biografico o esistenziale, è una contestazione radicale del modello di sviluppo, sia liberista che marxista, partorito dalla Rivoluzione industriale (da ultimo Il Mullah Omar, Marsilio, 2011). A teatro è stato autore e attore in Cyrano, se vi pare, per la regia di Eduardo Fiorillo, e coautore, con Elisabetta Pozzi, della pièce Cassandra, che sviluppa i suoi temi antimodernisti. Divorziato, ha un figlio trentenne, Matteo. Per Chiarelettere, ha scritto: "Senz'anima" e "La guerra democratica".

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