Il passo successivo

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Corbaccio
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«Ueli Steck è stato uno dei migliori scalatori di tutto il mondo negli ultimi quindici anni.» Reinhold Messner

«Lui era un campione, nello sport e nella vita. Considero l’aver vissuto alcune esperienze con lui un tesoro che la vita mi ha regalato.» Simone Moro

Ueli Steck, soprannominato «Swiss machine», è morto in Himalaya il 30 aprile 2017 all’età di quarantun anni. Fuoriclasse dell’alpinismo contemporaneo, fatto di velocità e free soloing, si stava allenando per compiere la traversata Everest-Lhotse, da solo e nel più puro stile alpino.
Ogni sua impresa era preceduta da una preparazione meticolosa, e niente lasciava Ueli Steck soddisfatto come l’aver saputo valutare al meglio il pericolo. Quando il 17 novembre 2015 stabilì un incredibile record di velocità salendo la Nord dell’Eiger in due ore e ventidue minuti, disse che più del record era felice per non essersi mai «trovato in situazioni di rischio».
Ma Steck era anche consapevole del fatto che «non importa quanto si è preparati, quando si va in montagna c’è sempre la possibilità che succeda qualcosa, e forse è proprio questo aspetto che rende l’alpinismo tanto affascinante».
Nel Passo successivo, Steck riflette con straordinaria onestà intellettuale sulle ragioni profonde che lo hanno portato a tentare avventure «impossibili», come la salita in ventotto ore della parete Sud dell’Annapurna, e alle sensazioni che hanno seguito il suo successo: euforia, certamente, ma anche un senso di vuoto, di solitudine, di paura a posteriori. Emozioni che però ha sempre superato per andare incontro a nuove sfide. Perché questa era la sua passione e la sua natura.
E per questo sarà ricordato.

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O autoru

Ueli Steck (Langnau im Emmental, 4 ottobre 1976 – Nuptse, 30 aprile 2017), è stato uno dei maggiori interpreti dell’alpinismo contemporaneo. Fra gli altri riconoscimenti ha ricevuto il Piolet d’Or, l’Eiger Award e il Prix Courage. Sulle sue esperienze ha scritto due libri, Speed. 7 ore che hanno cambiato la mia vita e Il passo successivo, che è la sua ultima testimonianza.

Karin Steinbach, nata nel 1966, è giornalista freelance, consulente editoriale e coautrice di numerose biografie, fra cui quelle di Ines Papert e Gerlinde Kaltenbrunner, pubblicate in Italia da Corbaccio. Dal 2001 vive in Svizzera.

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