I paradisi artificiali

· Edizioni Mondadori
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Composti tra il 1850 e il 1860, questi saggi raccolgono le riflessioni di Baudelaire sul vino, l'hascisc e le altre droghe, intese come "mezzo per la moltiplicazione dell'individualità". Sono scritti diversi, fortemente influenzati dall'esperienza personale, ma anche elaborati sull'esempio dell'"ebbrezza" di Poe e delle Confessioni di un mangiatore d'oppio dell'inglese De Quincey. In un primo tempo, infatti, il grande poeta francese aveva pensato che lo stato di eccitazione provocato dall'hascisc fosse paragonabile all'invasamento lirico, ma ben presto si era accorto che le droghe provocano uno stato di fantasticheria che rimane fine a se stesso, senza avere effetti apprezzabili sulla creatività. Nell'esercitare il suo acume critico su questo controverso tema, il grande precursore del simbolismo sembra perciò alludere alla profonda autonomia espressiva della poesia, unico mezzo in grado di organizzare e dare forma credibile ai fantasmi edenici dell'uomo.

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