Amy Foster

· Giulio Einaudi Editore
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72
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«Mrs Smith le dava della svergognata sgualdrina. Lei non ribatteva. Non diceva niente a nessuno, e proseguiva per la sua strada come se fosse sorda. Credo che in tutta la zona soltanto lei e io riuscissimo a vedere la sua autentica bellezza. Era un uomo stupendo, molto elegante nel portamento, con un che di selvatico nel fisico, come una creatura dei boschi».

Possiamo leggere Amy Foster come l'elogio che Conrad fa dell'incertezza, della vasta inconoscibilità dell'anima umana privata dei suoi ormeggi.
dal saggio introduttivo di Hisham Matar tradotto da Anna Nadotti

Il fisico teorico Brian Greene sostiene che, dal punto di vista dell'evoluzione, la narrazione di storie «si guadagna da vivere» perché è come un «simulatore di volo»: «le storie forniscono universi inventati nei quali seguiamo passo passo personaggi le cui esperienze superano di gran lunga le nostre». Amy Foster, racconto di terra e di mare, una delle opere brevi migliori di Joseph Conrad, è il simulatore di volo per l'esperienza dello straniero, dello sradicato. È la storia di Yanko Goorall, montanaro dei Carpazi, imbarcato ad Amburgo con il sogno dell'America su una nave di trafficanti di uomini, donne e bambini e naufragato in Inghilterra durante una furibonda tempesta. Siamo piú o meno fra Ottocento e Novecento, ma le stesse cose, come il lettore scopre con sempre maggior turbamento, continuano ad accadere e riaccadere fino a oggi, fino a domani. Yanko si salva a stento, ma è molto malconcio, non sa una parola di inglese e la timorata gente inglese che incontra non sa una parola che non sia inglese. Lo prendono per folle, per bandito, per mostro, lo rinchiudono, lo picchiano, si difendono dalla sua minaccia, dai suoi versi bestiali, dalla sua rabbia. Bimbi biondi e bianchi lo prendono a sassate. Yanko ha solo freddo e fame, ma non sa come si dice. La sua è «un'estraneità indecifrabile». Finché non incontra Amy Foster che, anche lei dai margini del mondo conosciuto, gli tende una mano. Ma la «solitudine assoluta» di Yanko rimane, fra le cose e le persone, come una minaccia sospesa in aria, come una condanna non ancora emessa. E alla fine lo travolgerà. «Non vivere fra la tua gente o nella tua lingua significa essere sempre altrove», commenta Hisham Matar, scrittore libico, nato a New York, che scrive in inglese e che è costretto all'esilio, il quale nel suo saggio introduttivo si specchia in Conrad, scrittore polacco che scrisse le sue lettere private in francese e i suoi capolavori anche lui in inglese. E i due scrittori sono - come tante volte siamo stati anche noi lettori - Yanko.

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